DJ ROBERTO UGGERI
Mi considero una persona normale, proprio come recita il motto della radio per cui lavoro: Very Normal People. Anche quando abbiamo trasmesso dall’Honduras, io e Francesco Facchinetti davamo spazio alle normal people della trasmissione: il cuoco, il medico, i cameramen…
Non ho mai fatto la radio con l’idea di andare poi alla tv, infatti mi è abbastanza indifferente l’essere mandato in onda su Sky durante la mia trasmissione radiofonica, come accade peraltro a tutti gli altri programmi di RTL. In quel momento non faccio tv, faccio radio alla tv.
Secondo me la radio è il teatro della mente. Quando ho iniziato a 16 anni, volevo vedere le facce di quelli che parlavano alla radio e ho girato tutte le piccole emittenti della mia città suonando i campanelli. All’inizio mi divertivo coi miei amici, ma già intuivo che quello era il mestiere che avrei voluto fare da grande.
Per un certo periodo sono passato dall’essere un dj a quello che oggi si chiama newsjay, ovvero il giornalista radiofonico, quello che organizza e legge le notizie, perché mi piaceva molto il lavoro di redazione. Sono tutt’ora iscritto all’albo dei giornalisti. In anni recenti poi, sono tornato a fare lo speaker. Io penso che in radio si possa dire di tutto, l’importante è come lo dici. Oggi conduco un programma di intrattenimento classico, come ce ne sono in tutte le radio, la particolarità del mio è che, in coppia con Francesco Facchinetti, un ragazzo molto autoironico che si presta bene al botta e risposta di simpatici sfottò con cui interagiamo, cerchiamo di dare degli spunti di riflessione agli ascoltatori, di coinvolgerli negli argomenti d’attualità che trattiamo scherzandoci su, quando è possibile.
Oggigiorno i dj non scelgono più le canzoni come una volta, ci sono dei direttori e dei responsabili della programmazione che fanno questo lavoro per tutti i programmi dell’emittente cercando di mantenere la linea editoriale ed un filo conduttore per tutta la programmazione. Questa pratica si è diffusa in Italia per imitazione dei grandi network americani che hanno introdotto il concetto di clock, per cui viene scelta una playlist da ripetere un certo numero di volte finché non viene sostituita da una nuova playlist.
Questo sistema per alcuni versi rassicurante, ingabbia senza dubbio la creatività dei singoli dj e mi spiace che alcune piccole radio locali le quali potrebbero svincolarsene, decidano invece di seguirlo solo per imitare i grandi network commerciali. Il fatto è che, come tutti, ho i miei gusti personali in fatto di musica e so bene che non posso imporre ai miei ascoltatori il jazz piuttosto che il rock progressivo anni ’70. Spesso il mio modo di pensare è distante da quello degli ascoltatori, ci sono miei colleghi invece che riescono sempre a indovinare i gusti del pubblico! E’ sicuramente tutta un’altra storia per quei miei colleghi che invece fanno radio proprio per l’amore per la musica e la voglia di far conoscere i proprio gusti al pubblico e quindi, con il sistema delle playlist fisse, si ritrovano le ali tarpate dalle esigenze del network. Mi spiace. La mia generazione ha iniziato ascoltando Radio Luxenburg proprio per sentire quei cantanti stranieri che la RAI non trasmetteva.
Io però sono un dj che si basa sui contenuti del programma più che sulla musica, probabilmente per la mia esperienza di giornalista cerco sempre di avere ben chiaro il discorso che voglio fare e sapere dove voglio andare a parare, onde evitare figure barbine ed essere ripreso subito dagli ascoltatori per qualche castroneria di troppo.
Per me a volte è difficile seguire la linea editoriale della mia radio, la gente richiede degli argomenti che non sento miei e spesso mi rendo conto di non pensare con la stessa testa del pubblico. Anche quando ho partecipato all’Isola Dei Famosi perché Francesco faceva l’inviato e ho dovuto trasferirmi anch’io in Honduras con lui per poter fare il programma radiofonico, la gente si stupisce che io non guardi la tv, specialmente i reality show. Il fatto è che la tv mi piace troppo! Ha su di me un effetto ipnotico, quindi cerco di guardarla il meno possibile!
Mi ricordo una frase che ho sentito anni fa: “La tv è come la cacca: farla è normale, guardarla un po’ meno”.
Come giornalista ti dico che nella tv italiana c’è purtroppo la spettacolarizzazione delle notizie, cosa che invece non avviene in altri paesi, come ad esempio la Gran Bretagna.
Ogni persona ha una sua storia e un suo percorso e una cosa che mi dispiace molto è vedere che figure storiche della radiofonia italiana, come ad esempio i primi dj fondatori delle grandi radio attuali, non abbiano più voce in capitolo riguardo la programmazione musicale. Allo stesso modo mi spiace per quei giovani che invece vengono presi senza esperienza, solo perché sono carini e spigliati e buttati allo sbaraglio in grandi network che li mettono alla prova, li sfruttano e li spremono per poi scaricarli quando sono esauriti. Purtroppo se parti dalla cima, puoi solo precipitare. Ai giovani, consiglio di farsi prima le ossa in realtà più piccole dove poter imparare a reggere i colpi bassi, sia a livello professionale che umano. In modo da arrivare preparati al grande successo, se mai dovesse arrivare. E crederci sempre.
Facendo un paragone con il calcio, io sono sempre stato un mediano. In ogni squadra di calcio serve il fantasista tanto quanto il portiere, ma la differenza si fa al centrocampo.
Spesso chi fa radio si dimentica che sta comunicando, comunicare significa lanciare un messaggio che qualcuno riceva dall’altra parte, ma solo se chi lo riceve l’ha anche compreso, allora la comunicazione è riuscita. A volte capita che chi parla alla radio lo faccia più per se stesso che per gli ascoltatori, si bada troppo a piccoli particolari tecnici e si fanno spallucce se si è detta qualche cavolata al microfono o si è sbagliato un congiuntivo. E’ importante rispettare sempre gli ascoltatori. Ricordarsi chi si ha davanti, o meglio, all’ascolto, perché è purtroppo molto facile offendere qualcuno senza volerlo.
Spesso si dice che il dj accende il microfono e spegne il cervello.
Come hobby e attività parallela faccio il doppiatore. Soprattutto per spot pubblicitari ma ho anche doppiato dei documentari di History Channel sulla Seconda Guerra Mondiale e la serie di cartoni animati Aquarion più una serie di film asiatici di vario genere. Ho lavorato con grandi professionisti e come sempre ho trovato sia persone squisite e disponibili, sia grandi rompiscatole. I primi tempi mi facevano scontare il fatto di arrivare dalla radio e non dal teatro, ora che mi conoscono le cose vanno un po’ meglio. Non troppo.
Secondo me ci sono due tipi di direttori del doppiaggio: il primo è quello che ti fa doppiare il film come lo farebbe lui. Il secondo, che per me è il migliore, è quello che ti da dei suggerimenti e ti guida riuscendo a tirare fuori il meglio dalla tua voce e le tue attitudini.
Ho cominciato a fare radio nel 1982, in quella che è la seconda ondata di dj italiani, la prima è quella pionieristica del 1975. Ho avuto col tempo la fortuna di lavorare con i vecchi “inconsapevoli maestri” che ascoltavo da ragazzino. Nell’82 la musica più amata era ancora quella nata negli anni ’70 in USA e Inghilterra. Quelle band facevano sempre la “radio edit”, era una versione speciale dei 45 giri in vinile con 20 secondi di intro e 30 di uscita dalla canzone in modo che il dj avesse il tempo di preparare il lancio del pezzo e il rientro in onda. Dall’avvento del cd e dell’mp3 questo non succede più e il lavoro dei dj è diventato sempre più frenetico e meccanico. Oggi il dj cosa deve fare? Se ci riuscivano quelle band di rock, soul, disco, ecc…perché non lo fanno i cantanti pop di oggi?
Comunque il divano della redazione di G.A.Z è davvero comodo!